Da “Il Giornale” del 21.IX.1992 :

 (a firma di Gastone Geron):

 Tabarro e ventaglio :

        Se non avete mai sentito parlare di agramàn, andrié, amuèr, bocassin, bucole, basta che consultiate un qualsiasi vocabolario veneziano, a cominciare dall’insuperato Boerio che tiene banco dai primi dell’Ottocento, per apprendere che con i suddetti termini si definiscono, rispettivamente, un nastro ricamato, un abito femminile con strascico, una certa stoffa pesante, un tessuto per grembiuli e un paio di orecchini. Ma il “lessico ragionato” cui Achille Vitali ha dato il titolo di “La moda a Venezia attraverso i secoli” non si limita a tradurre “in lengua tosca” una terminologia specifica, bensì scava a fondo in un campo sorprendentemente poco arato della civiltà veneziana.

        Se ben presto la città delle cento isole si sforzò di sottrarsi, anche nel campo della moda, alle tentazioni autarchiche fomentate dalla peculiarità geografica del suo tessuto urbano, la sua vocazione a farsi ponte con il prossimo Oriente comportò rilevanti contributi dapprima bizantini, poi genericamente turcheschi: sicché innumeri termini di matrice levantina ricorrono giocoforza nell’originalissimo studio del Vitali, senza perciò trascurare l’altrettanto considerevole peso che ebbero i coevi modelli europei, anche prima dell’affermarsi perentorio del “dernier cri” parigino di cui assurse a simbolo il fin troppo enfatizzato manichino settecentesco universalmente conosciuto come “piavola de Franza”.

        Frutto di una ventennale frequentazione di archivi. biblioteche, raccolte pubbliche e private, le quasi cinquecento pagine di un veneziano della diaspora, costretto a Milano da ragioni di lavoro, ma in perenne altalena con “la città unica al mondo”, hanno visto la luce grazie all’ennesima sfida temeraria dell’Editore Filippi, rimasto superstite campione della già fiorente “stampa di cose veneziane”, oggi adulterata da corrive pubblicazioni per il più incolto turismo di massa.

        Impreziosito da un nutrito corredo iconografico che esemplifica alcuni dei momenti salienti dell’evoluzione del gusto attraverso i secoli, inquadrato dall’intelligente sinopsi introduttiva di Doretta Davanzo Poli che muove dai Veneti di età romana per arrivare fino ai frustrati tentativi odierni tesi a fare della città marciana una delle capitali dell’alta moda, l’elegante dizionario è confortato da una bibliografia vastissima che aggiunge autorità scientifica ad un “excursus” che non trascura il riferimento etimologico ma punta soprattutto a catturare il lettore non specializzato, utilizzando un linguaggio discorsivo. Frequente è il rimando a notazioni curiose così come il ricorso a veri e propri capitoli particolareggiati allorché si parla di calzature o di camicie, di guanti o di merletti, di tabarri o di pellicce, di ombrelli o di parrucche, di ventagli o di zoggie, alias gioielli.

        Una breve appendice è infine dedicata ai “colori più in uso”, la scala cromatica variando dall’amarèo (amaranto) allo sguardo (vermiglio), dal biavo (celeste) al griselin (lilla), dal festichin (verde pistacchio) al roàn (nero rossigno) in un caleidoscopio che ebbe forse il clou dell’eleganza nel rinascimentale restagno “fatto di argento, di oro e di seta, di cui le dame veneziane, nel periodo della maggior ricchezza, fecero uso grande, quasi abituale”.

 

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